Insegnare una lingua straniera significa molto di più che mettere gli studenti a coppie e farli parlare dei loro hobby. È vero, ci siamo passati tutti. Spesso, gli insegnanti sono vincolati ad un manuale e questo per loro è allo stesso tempo una coperta di Linus e una trappola. La grammatica è importante, ripetere è necessario, fare pratica è essenziale, ma imparare una lingua straniera significa anche costruirsi una nuova identità. È una ricerca, a volte dolorosa, a volte entusiasmante; è rendere “elastica” la propria percezione di sé.
Perché l’impegno verso una nuova lingua sia totale, i nostri studenti devono servirsi di tutto il loro corpo. Lo fanno già dando forma alla bocca per articolare i suoni, usando la gestualità per trasmettere un’emozione, adottando una postura nello spazio. Questo succede sempre, ma raramente se ne parla durante le lezioni di lingua. Fare questo consapevolmente porta l’apprendimento ad un livello nuovo. Per farla breve, significa vivere la lingua non soltanto con la testa, ma anche con il corpo (didattica corporea).
Esistono molti sviluppi dell’approccio corporeo: il metodo TPR (Total Physical Response) e il Physically Active Learning (Apprendimento Fisicamente Attivo) sono esempi lampanti. Se questi metodi sono utili, la cognizione attraverso il corpo è più profonda se ancorata ad una forma estetica. Quando ciò incontra l’educazione artistica, nasce la Didattica Performativa della Lingua Straniera.
Questo approccio all’insegnamento implica l’integrazione di una o più forme d’arte (recitazione teatrale, danza, musica, scrittura creativa, arti visive, arte digitale) all’insegnamento e all’apprendimento di una lingua straniera. Può funzionare per livelli di competenza diversi, dal principiante all’avanzato, sia con gli adulti che con i bambini.
Il termine è stato coniato dal professor Schewe nell’articolo: Tra passato, presente e futuro: pedagogia drammatica, verso una cultura didattica performativa, pubblicato nel 2013 e tradotto da A. Angelini (rev. S. Cecco) nel 2020. Questo e altre traduzioni italiane sono disponibili sul sito Scenario Multilingual.
Il termine “performativo”, nel contesto dell’insegnamento della lingua straniera, abbraccia il teatro e altre forme d’arte. Fa riferimento ad un tipo di insegnamento della lingua che valorizza:
- la forma, intesa come forma drammatica [perFORMAtivo]
- la teoria della performance [PERFORMativo] di R. Schechner
- la teoria dell’atto performativo in linguistica di J. L. Austin
- come anche “formare” nel senso di “insegnare”, “dare forma” [perFORMATIVO]
Per una definizione più esaustiva di questo concetto, vedi Performative in a Nutshell, pubblicato in Scenario 2020 e Recommendations for Promoting a Performative Teaching, Learning, and Research Culture.
Scenario è una comunità di insegnanti-artisti con una predisposizione condivisa per la ricerca e la pratica della didattica performativa.
Scenario Forum è un progetto a 360 gradi che include una serie di libri, conferenze di ricerca, simposi, seminari accademici a cadenza mensile e una rivista accademica peer-reviewed che pubblica due numeri all’anno.
La rivista è stata fondata dai professori Manfred Schewe e Susanne Even nel 2007. Come scrivono nell’introduzione del primo numero, l’idea di fondare una rivista scientifica sul tema era già in incubazione da anni. E per fortuna l’hanno resa realtà. Prima di allora c’era interesse verso l’argomento, ma l’ambito era frammentato in una miriade di etichette e acronimi. Tuttora ci sono termini diversi per riferirsi all’insegnamento della lingua attraverso il teatro (e l’arte), ma almeno c’è un punto di riferimento solido dove possono coesistere tutte le varianti.
Attualmente, Scenario è l’unica rivista accademica peer-reviewed incentrata esclusivamente sulla didattica della lingua e la ricerca performativa. È una pubblicazione bilingue (tedesco-inglese) che esce due volte all’anno.
I corrispondenti di Scenario sono rappresentanti di Paesi diversi che contribuiscono a un lavoro costante con l’obiettivo di individuare differenze e affinità nei modi di espressione della didattica performativa della lingua e dell’apprendimento performativo in giro per il mondo.
Sono onorata di essere entrata quest’anno nel team editoriale di Scenario. Il mio primo contributo editoriale pubblicato nella Call for Paper (numero 2, 2021) si intitola ‘Nothing about us without us’: Provocations for ethics in performative language teaching and research’. (“Niente su di noi senza di noi”: Provocazioni per l’etica nella didattica della lingua e la ricerca performativa) con Fiona Dalziel e Garret Scally come guest editors.
Gli insegnanti che adottano un approccio performativo si impegnano nella loro attività come insegnanti-artista.
L’espressione “teaching artist” (insegnante-artista) è stata coniata per la prima volta negli anni Settanta dalla docente June Dunbar presso il Lincoln Center Institute di New York. Nel primo numero della rivista Teaching Artist, Booth (2003) aveva intervistato alcuni professionisti di rilievo per formulare una definizione del termine.
Le caratteristiche principali che emergono dalle risposte includono: l’uso di pratiche di una certa forma d’arte andando, però, oltre la forma d’arte per connettersi ad altri ambiti della vita; vivere l’insegnamento con il corpo (embodying teaching); la capacità di mettere in moto la partecipazione e una focalizzazione sul processo (pp. 6-7). Dopo più di un decennio di ricerca, Booth (2005) riflette:
“Un insegnante-artista non “esegue” dei workshop standardizzati, ma, in modo generativo, apporta il proprio pensiero creativo, gli interessi di apprendimento e i modi di pensare per fare leva su ogni opportunità con i partecipanti. Noi non insegniamo qualcosa, noi impariamo insieme, creiamo insieme in indagini abilmente modellate.” (p. 152)
Questa citazione riassume l’essenza di quello che faccio come professionista riflessivo e insegnante-artista.
Schewe fa una distinzione nella didattica performativa della lingua tra forme su piccola scala e su grande scala.
Le forme su piccola scala possono essere integrate all’interno del programma per la durata di una o più lezioni. Il process drama, tra gli altri, rientra nella categoria su piccola scala.
Le forme su grande scala riguardano progetti di durata più lunga orientati a un prodotto finale, indirizzati alla prova e alla messa in scena di opere teatrali e che si svolgono nell’arco di mesi, spesso richiedendo un impegno extracurricolare.
Quale forma è più adatta, per esempio, per gli studenti di livello A1 (principiante)? E per quelli di C2 (avanzato)? Per approfondire condivido un estratto del mio libro, qui.
[traduzione di Ana Bita; revisione Serena Cecco]